lunedì 22 ottobre 2012

ASCOLTATE, SIGNORE E SIGNORI /// Recensione di Salvatore F. Lattarulo sul "Corriere del Mezzogiorno" di domenica 21/10/2012


Cultura popolare
/in un libro edito da Capone

ENigro raccoglie
le antiche ballate
sui briganti del Sud
di SALVATOREF. LATTARULO

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Narrazione uguale identità. Questa equazione, tutto sommato lineare epperò resa complessa e quasi indecifrabile dalla crisi del linguaggio e delle specificità culturali, frutto del nostro presente liquido e globalizzato, è la trave portante di buona parte della scrittura di Raffaele Nigro. E regge anche l'ultimo libro consegnato in libreria per Capone, Ascoltate, signore e signori. Ballate banditesche del Settecento meridionale. Un'opera notevole di scavo e ripescaggio di quella letteratura figlia di nessuno, a torto liquidata come produzione minore e residuale dai critici paludati, ma che costituisce un prezioso giacimento mnestico, un sotto suolo affollato di frammenti di storia collettiva da mettere sotto tutela. Per lo scrittore lucano la letteratura in fondo non è che una grande affabulazione corale tesa a riposizionare il passato entro le coordinate di una sconcertante modernità, ostaggio del piattume comunicativo dei nuovi media.
Nigro ha eletto il brigante a icona principe della sua narrativa già in Fuochi del Basento, il libro che sancì la sua unzione di pubblico e critica in quegli anni Ottanta in cui la Puglia delle lettere svoltò verso la strada della sua rinascenza artistica. Di qui la mitologia popolare del ribellismo si coagulò in un fiume carsico che percorse i suoi scritti, fino a confluire in quel bacino capiente che è l'ampia ricognizione in forma di saggio d'autore intitolata Giustiziateli sul campo. Letteratura e banditismo da Robin Hood ai giorni nostri (Rizzoli 2006), che costituisce l'antecedente più immediato della sua nuova prova Nigro torna ora a travestirsi da saggista e mette fuori un lavoro che vuol essere il primo rinnovato atto di un'operazione di recupero attraverso i secoli di un variegato repertorio di testi poetici etichettabile come epopea nera o neo-barbara che trovò concime nel microcosmo contadino meridionale. Interpreti di questo filone sono stati i cantastorie, figure con le quali Nigro, che ha spesso rivendicato di essere un cantore fuori del coro rispetto a certa narrativa seriale minimalista in voga, instaura una scoperta sintonia a distanza.
Del resto, vicende di ferro e fuoco aventi per protagonisti capibanda e arruffapopolo lo scrittore melfitano, ma barese di lungo corso, ha cominciato da ragazzo ad ascoltare in casa, a succhiare col latte in famiglia, dal padre e dalla nonna, o per via, da bocche di anziani che hanno nutrito il suo immaginario e acceso la sua fervida fantasia di romanziere. L'oralità è il pedale profondo che mette in movimento la sua disposizione al racconto memoriale ed è alla base della tradizione canterina brigantesca, performata a viva voce da menestrelli e rielaborata a orecchio dagli ascoltatori prima di essere trascritta in edizioni alla buona. Una letteratura di strada a cura di aedi semicolti che si spostavano, sulla falsariga dei chierici vaganti medievali, di paese in paese, di piazza in piazza, per raccontare episodi di vita dal respiro epico benché umile. Pendolari dell'arte, montavano scenografie rudimentali e prendevano a recitare le loro ballate in rime catturando l'attenzione del pubblico attraverso l'intreccio di un dialogo costante tra fondali dipinti e tessitura melico-verbale. Un po' teatranti, un po' cineasti, vissero al tempo in cui la tv non c'era o emetteva i primi vagiti.
Materia del loro canto erano fatti e fattacci di tipi loschi, pendagli da forca, avvolti in un alone di leggenda che sfiorava il perimetro della santità. Nella deformazione fantastica dei rapsodi i banditi erano personaggi di confine, in precario equilibrio tra l'angelo e la bestia: paladini degli oppressi e criminali incalliti. Dentro lo spazio lirico del sogno la seduzione del male trasformava la parabola dei fuorilegge in vangelo a beneficio degli ultimi. L'uomo nero incarnava a suo modo l'ariostesca gran bontà dei cavalieri antichi. Dava voce alle attese di libertà e resurrezione di un Sud tiranneggiato e offeso, ma per contrappasso alla fine della sua vita spericolata lo attendeva la galera o il patibolo.
Miseria e grandezza di un mondo dal fascino primitivo impiccato al nodo scorsoio della modernità.

dal “Corriere del Mezzogiorno” di domenica 21 ottobre 2012

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