Il mondo incantato delle sirene, delle fate, dei folletti, dei re potenti, dei nobili e coraggiosi cavalieri, delle giovani e belle principesse, delle streghe e i loro sortilegi, degli splendidi castelli in cui menestrelli e giocolieri animavano matrimoni da sogno, dei forzieri pieni di monete d’oro seppelliti sotto cumuli di terra, degli amori contrastati, ma dal lieto fine, fa parte di tutti noi, della nostra infanzia. E’ il mondo delle fiabe e delle leggende. Un mondo che emoziona e stupisce anche quando bambini non si è più.

Le fiabe in principio non erano destinate solo ai più piccoli come accade oggi, ma erano una forma d’intrattenimento rivolta anche agli adulti impegnati nei lavori manuali i cui gesti erano sì ripetitivi ma che non occupavano molto la mente. Le fiabe, come pure le leggende, hanno origine popolare ed entrambe si diffusero oralmente per secoli. Chi le narrava spesso vi aggiungeva del proprio, le modificava.
Esattamente come ha fatto uno dei più illustri scrittori della Puglia, Antonio Errico, nel suo ultimo lavoro intitolato “Fiabe e Leggende di Puglia” (Capone editore, 128 pagine, 10,00 euro). Errico, infatti, afferma nella prefazione del libro di “aver messo le mani” nei testi scelti per questo volume. “Come nella narrazione orale colui che racconta ci mette la propria voce e apporta varianti secondo il luogo, del tempo e delle caratteristiche dell’ascoltatore, nella narrazione scritta colui che racconta ci mette la propria scrittura tenendo conto del tempo in cui racconta e della fisionomia del lettore che si è delineata nel pensiero”.
Dopo aver pubblicato molti libri di narrativa e saggistica Antonio Errico, si confronta quindi ora con il genere fiabesco perché come sostiene l’autore “prima o dopo, nell’esperienza di una scrittura, viene sempre il tempo di confrontarsi con le storie più leggere e più profonde che si conoscono, con quei racconti che fanno parte della terra alla quale si appartiene”. Usando “solo i criteri della memoria, della passione e della scrittura”e dopo aver letto le raccolte di fiabe pugliesi, calabresi, lucane, campane, fiorentine ecc.
Errico ha riscritto quindi, con il suo stile pregevole, alcune delle fiabe e delle leggende della nostra regione che “trovano la loro provenienza nella tradizione orale e scritta”.  Le storie raccontate sono ambientate a Otranto, Vieste, Santa Cesarea, Massafra, Tricase, Taranto, Bari, Avetrana ecc. Una vera e propria dichiarazione d’amore che l’autore fa alla propria terra, una Puglia che ieri come oggi è sempre affascinante e in grado di stupire. E proprio la terra è la protagonista della nuova collana edita da Capone editore e intitolata “La terra e le storie”, che l’autore dirige insieme al poeta e scrittore Maurizio Nocera.

Tanti sono i protagonisti delle trentadue novelle che si succedono nel volume: una donna che per una notte di passione con un giovane forestiero “… bello di fattezza e di ventura” fu gettata in un mare che “… ha un altro tempo, senz’ore, senza giorni, senza estati, senza inverni”, e che dopo essere stata accolta dalle sirene, indossò “… vestiti d’acqua che avevano i colori che ha la primavera nei giardini sulla terra”e salvò dalla morte proprio quello sposo tradito, caduto in mare per aver udito il canto seducente di quelle creature marine.
Vi sono sirene che per essere state rifiutate da un pescatore “… bello più di tutte le perle che ha il mare”, si vendicano trascinando in mezzo ai flutti la donna amata dal giovane, che disperato si toglie la vita, trasformandosi in uno scoglio bianco.
E c’è un menestrello che con il suo canto fa innamorare una malinconica principessa, ci sono demoni che prodigiosamente costruiscono un campanile in una notte, c’è una donna dalla bellezza simile a “… un fiume che straripa, dilaga e che travolge ragioni e sentimenti” e che pur di non cedere al sopruso di un nobile violento si conficca una lancia nel cuore divenendo un fantasma inquieto che si aggira per un castello “… perché non c’è moneta che possa generare l’amore che non c’è”.
E ancora c’è un furbo monaco che tenta di prendersi gioco della Morte rimanendo però alla fine beffato da questa. E continuando c’è un disertore che stanco delle guerre, cerca la pace in un convento. E poi ci sono giganti che da Lestrigonia, terra dove “giorno e notte erano solamente una confusione armoniosa del cielo”, sono inseguiti da Ercole fino alle coste di Japigia e lì uccisi nella terra di Santa Cesarea. E infine ci sono uccelli che ridono, cantano e cavalli che parlano.
Il  bellissimo libro di Antonio Errico è quindi un’occasione per conoscere le fiabe e le leggende pugliesi, i luoghi più affascinanti della nostra regione e per ritornare per un po’ al periodo più sereno della nostra vita, l’infanzia.  Ad Antonio Errico Brindisireport.it ha rivolto alcune domande.
Dopo aver pubblicato libri di narrativa e saggistica ora si confronta con il genere fiabesco. In quale di questi generi letterari ha trovato le maggiori soddisfazioni?
“In realtà ogni genere di scrittura  in qualche modo ti appaga e ti lascia qualcosa di incompiuto allo stesso tempo. In questo libro  la condizione che per me si è rivelata più importante, è stata quella della rielaborazione, della reinvenzione e della riscrittura delle storie che raccontavo. Come ho cercato di dire nell’introduzione, ho messo le mani nella materia l’ho impastata e ho cercato di darle uno stile che in qualche modo corrispondesse al mio immaginarle”.
Nelle storie raccontate prevalgono l’amore, i valori più importanti, una certa semplicità della gente e dei suoi desideri. Cosa è rimasto di quel tempo?
“Forse una fiaba viene pensata perché non possa mai realizzarsi e scritta perché si abbia sempre l’impressione di poterla realizzare, quando ha elementi positivi, o di poterla evitare quando ha elementi negativi. Italo Calvino aveva perfettamente ragione quando diceva che una fiaba è il catalogo di tutti i destini che possano darsi a un uomo e a una donna. Ecco: gli uomini e le donne nelle fiabe hanno sempre cercato di immaginare per sé i destini positivi, scongiurando quelli negativi”.
“Esiste una sconfinata letteratura che indaga gli aspetti antropologici, psicologici e psicanalitici della fiaba. E’ una materia estremamente complessa. Anche narrarla, o rinarrarla, è complesso. Bisogna trovare un registro che dia il senso della concretezza e dell’astrazione, del falso e del vero o del verosimile, del possibile e dell’impossibile”.
Volendo ambientarle ai giorni nostri, cosa non sarebbe più pensabile?
“L’ingenuità e lo stupore. I nostri giorni purtroppo sono poveri di ingenuità e di stupore”.
A quale di queste storie è più legato o quale le è piaciuta di più?
“Mi mette un po’ a disagio con questa domanda. Non saprei dire. Potrei tentare una via di fuga dicendo che qualcuna mi piace di meno. Poi, sì, è vero che a qualcun’altra sono legato di più anche perché ambientata in luoghi che frequento molto spesso e quindi ne ho sentito il richiamo per anni. Me le sono portate dentro. Poi, comunque, credo che per una persona che scriva, prima o poi viene il momento di confrontarsi con le storie profonde della sua terra e della sua infanzia, cercando però di farle aderire a quella che è la stagione esistenziale che vive”.
Per Capone editore dirige la collana “La terra e le storie”. Può dirci qualcosa di più a riguardo?
“E’ una collana che appunto cercherà di proporre storie legate alla Puglia. Poi si vedrà di volta in volta quali possano essere quelle che meglio la raccontano”.


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