mercoledì 16 ottobre 2013

LA PUGLIA, L'ADRIATICO, I TURCHI / / / Recensione di Felice Laudadio Jr apparsa su Repubblica.it


Testa di turco e “Vidua Vidue” a Bari

di Felice Laudadio Jr


“La Puglia, l’Adriatico, i Turchi (dai Selgiukidi agli Ottomani, 1071-1571)”, a cura di Nino Lavermicocca, Capone Editore, Lecce, settembre 2013, 144 pag. 15 euro.
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I bacini marittimi sono numerosi nel pianeta, il mar Rosso, il Golfo Persico, il Baltico, ma su nessuno si affacciano tre continenti (Europa, Africa, Asia), che nel corso della storia hanno regalato una ricchezza storica e culturale unica al Mediterraneo. Quel mar che la terra inghirlanda tra discordanti lidi, scriveva Dante e del quale l’Adriatico è il compendio naturale, sotto tutti gli aspetti. Un bacino, a sua volta, ugualmente incubatore di civiltà e culture, ma tutt’altro che vasto. Fernand Braudel lo misura in 700 km da Venezia alla Terra d’Otranto, con 140mila km2 di superficie. Le aree costiere continentali sviluppano 3887 km, quelle insulari 1980. Nel punto più stretto, Otranto e l’Albania distano solo 72 km. A sua volta, il condensato dell’Adriatico è la Puglia.Fortunata terra la chiamava il poeta fiorentino, una propaggine esposta alle varie fortune (venture) generate dal contatto o dall’impatto con etnie diverse. Dalle popolazioni preelleniche e preromane (Dauni, Peuceti, Messapi) a tutti gli eserciti scesi lungo la penisola o sbarcati sulle coste, oltre alle incursioni dei corsari barbareschi e balcanici. Tutto questo fa della Puglia una cerniera tra Oriente ed Occidente.

Possono sembrare considerazioni scontate, ma sono la premessa necessaria al lavoro di tre ricercatori. Un saggio storico preceduto dalla presentazione del prof. Giorgio Otranto e diviso in tre monografie, che sviluppano un aspetto particolare del confronto con Costantinopoli, fino alla vittoria cristiana di Lepanto. “Adriatico, golfo mediterraneo: incontri e scontri di civiltà e culture” è il tema di Nino Lavermicocca, archeologo medievalista barese. Affronta le invasioni arabe nel Mediterraneo (una lenta sequenza di battaglie perse e guerre vinte, troncata nel 1571) con uno sguardo particolare al ruolo della Puglia, sempre epicentrale, a cominciare dall’Emirato di Bari (847-871). L’esito finale di questo conflitto è l’argomento di Marino Capotorti, linguista e storico dell’arte: “La battaglia di Lepanto e la fine dell’egemonia turca sul mare. La partecipazione dei pugliesi”. Nicola Cortone, amico e allievo di Lavermicocca, si occupa della paura del Turco e della sua rappresentazione nelle tradizioni popolari  e nella narrativa.
La “Vidua Vidue”. “Mamma li Turchi”: la paura risale a ben prima del Mille e si estendeva agli Arabi e all’Islam intero. Le interminabili scorrerie saracene dalla Sicilia e dalla Tunisia portarono a stabilire basi d’appoggio sui litorali pugliesi. Diventarono Emirati musulmani a Bari e Taranto, ma naturalmente attirarono la reazione dei bizantini. I berberi tornarono sotto le mura baresi nel 1002-03, per un lungo assedio, risolto dall’arrivo liberatore della flotta veneziana, guidata dal doge Pietro Orseolo II. L’evento lasciò un segno nel folklore locale: una festa popolare, celebrata a Bari per secoli, oggi scomparsa. Della “Vidua Vidue”, Cortone offre nel volume una breve descrizione, tratta dalla “Storia di Bari” di Giulio Petroni.
La Quarta di CopertinaCon l’erosione dell’Impero bizantino avviata militarmente nell’XI secolo e proseguita metodicamente fino alla completa occupazione dell’Anatolia e alla distruzione della “grande mela rossa”, la capitale della cristianità orientale, Costantinopoli, i Turchi non furono in grado di elaborare una civiltà e cultura dell’incontro, fondata sui valori dell’Islam e della Ortodossia. All’Europa i Turchi si avvicinarono per circa quattro secoli con la guerra, seguendo nell’itinerario delle conquiste la direttrice egeo-ionico-adriatica (fino alla battaglia di Lepanto del 1571) e quella balcanica (fino al secondo assedio di Vienna del 1683), guardando alla Puglia come alla frontiera dell’Occidente che, pur nella sua disgregazione politica e debolezza militare, seppe comunque opporre un argine (paradossalmente proprio con la caduta di Otranto l’11 agosto 1480) all’ambizione del dominio universalistico della Sublime Porta.


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